Sabato 26 e domenica 27 settembre il Centro Sperimentale di Cinematografia - Cineteca Nazionale partecipa alle celebrazioni delle Giornate Europee del Patrimonio ideate dal Consiglio d’Europa per potenziare e favorire lo scambio culturale tra paesi europei. Per l’occasione, il cinema Trevi, che con la sua programmazione diffonde il patrimonio cinematografico italiano, sarà aperto al pubblico gratuitamente.
Programma delle due giornate:
sabato 26
La figura del padre tra Cinema e Psicoanalisi
Il Centro Sperimentale di Cinematografia organizza, col patrocinio della SPI (Società Psicoanalitica Italiana) una serie d’incontri mensili, nella giornata di sabato, centrati sul rapporto tra il Cinema e la Psicoanalisi e sugli aspetti che la visione di un film può approfondire. In queste serate di volta in volta uno psicoanalista proporrà una breve relazione, dopo la proiezione dell’ultimo film selezionato, aperta alla discussione con autori/attori/critici cinematografici e col pubblico. Nel 2009 i film presentati e gli spunti di riflessione proposti vertono intorno ad un percorso che attraversa il tema del padre, sia sul versante cinematografico che su quello psicoanalitico e, più in generale, culturale.
ore 16.30
Di padre in figlio (1982)
Regia: Vittorio e Alessandro Gassman; soggetto: V. Gassman, A. Gassman; sceneggiatura: V. Gassman, A. Gassman, con la collaborazione di Giancarlo Scarchilli; fotografia: Claudio Cirillo, Cristiano Pogany; musica: Fabio Massimo Cantini; montaggio: Ugo De Rossi; interpreti: V. Gassman, A. Gassman, Fabiola Jatta, G. Scarchilli, Emanuele Salce, Gianluca Favilla; origine: Italia; produzione: Maura International Film, Rai; durata: 96’
Un padre e un figlio, uno attore celebre, l’altro deciso a diventarlo. E attorno a loro gli amici, i familiari… Film iniziato nel 1972 e terminato dieci anni dopo, con la partecipazione di molti voti noti (Adolfo Celi, Franco Giacobini, Angela Goodwin, Gigi Proietti, Paola Quattrini, gli altri componenti della famiglia Gassman). «Montate, le scene, in ordine non rigidamente cronologico, per dire il ritorno di certi affanni attraverso il decennio, e intersecate abilmente da brani teatrali (Brecht, l’Affabulazione di Pasolini) e citazioni da film interpretati da Gassman: tali, gli uni e le altre, da adombrare le situazioni reali e far toccare lo scambio di ruoli fra il destino di padre e il mestiere di attore. In modo che la casa di Gassman sia per Vittorio e Alessandro palcoscenico e set, e gli eventi, soltanto talvolta ricostruiti, siano insieme squarci di vita e prove di recitazione, cui gli amici e gli altri familiari - soprattutto Emanuele, figliastro di Gassman, e il piccolo Jacopo, l’“autunnale bambino” - partecipano sull’esempio del “cinema-verítà”» (Grazzini).
ore 18.15
Uccellacci e uccellini (1966)
Regia: Pier Paolo Pasolini; soggetto e sceneggiatura: P. P. Pasolini; fotografia: Mario Bernardo, Tonino Delli Colli; scenografia: Luigi Scaccianoce; costumi: Danilo Donati; musica: Ennio Morricone; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Totò, Ninetto Davoli, Femi Benussi, Rossana Di Rocco, Renato Capogna, Pietro Davoli; origine: Italia; produzione: Arco Film; durata: 85’
«Antonio de Curtis e Pier Paolo Pasolini: è possibile immaginare due cineasti tanto diversi? Il primo è un comico, scatena la sua fantasia in piena libertà; il secondo è un intellettuale, la sua vita, le sue poesie, i suoi film sono atti politici. Il principe è un conservatore di spiccate simpatie monarchiche, il regista un uomo di sinistra pronto al duello dialettico con chiunque, anche con il partito di riferimento; l’arte di Totò si muove nel solco di una tradizione culturale, quella di PPP è spesso violenta opera di sperimentazione. In comune Totò e Pasolini hanno almeno una cosa, la timidezza. La sera in cui s’incontrano, in casa del principe, Pasolini gli parla di un progetto cinematografico tra lunghe pause di imbarazzato silenzio; Antonio de Curtis ascolta compunto, covando dentro di sé il disgusto per i jeans sdruciti di Ninetto Davoli. Da quest’incontro stentato nasce Uccellacci e uccellini, girato subito dopo La mandragola e ancora prodotto da Alfredo Bini» (Anile). «Padre e figlio, in giro per il mondo, incontrano un corvo parlante (con la voce di Francesco Leonetti) che gli fa la morale, secondo la filosofia razionale di un intellettuale marxista. Quando si stancano delle sue chiacchiere, lo mangiano. Film-saggio di stimolante originalità, il 4° film lungo di P.P.P., operetta poetica nella lingua della prosa, propone in brevi favole e in poetici aneddoti una riflessione sui problemi degli anni ’60: crisi del marxismo, destino del proletariato, ruolo dell’intellettuale, approssimarsi del Terzo Mondo. Con la sua divagazione evangelico-francescana, è anche un apologo umoristico che in alcuni momenti ha l’umiltà e la densità del capolavoro. Due Nastri d’argento a Pasolini (soggetto) e Totò (attore). Premiato al Festival di Cannes» (Morandini).
Film vietato ai minori di anni 14
ore 20.30
Barbablù Barbablù (1989)
Regia: Fabio Carpi; soggetto e sceneggiatura: F. Carpi; fotografia: José Luis Alcaine; scenografia: Amedeo Fago; costumi: Alberto Verso; interpreti: John Gielgud, Susannah York, Hector Alterio, Niels Arestrup, Angelica Maria Boeck, Maria Laborit; origine: Italia/Francia; produzione: Pont Royal Film TV, Beta Film, Progefi, F 3; durata: 100’
«Un bellissmo esempio di film europeo, una riprova del contributo che il talento cinematografico italiano può dare a un’industria continentale messa in grado di reggere la concorrenza americana e giapponese sul piano della qualità. Tutto per merito di Fabio Carpi, un autore sempre vissuto in disparte (e ha motivo di vantarsene, vista la volgarità che comporta il successo), il quale per la sua ottava regia (in vent’anni, ma a pubblicare poesie cominciò nel ’44) si è rifatto a un proprio documentario girato nel 1985: la lunga intervista a Cesare Musatti, patriarca degli psicanalisti italiani, che resta un’eccellente testimonianza umana e scientifica su quella singolare figura. Passando dal vero alla fiction, Carpi ora immagina che, in una villa sul lago di Como, appunto un vegliardo della psicanalisi, battezzato affettuosamente “Barbablù” perché ha avuto cinque mogli, sentendosi prossimo alla fine abbia convocato i figli facendoli venire dalle più varie parti del mondo e nel contempo abbia accettato di concedere una lunga intervista a una troupe televisiva per lasciare ai posteri un lusinghiero ritratto di se stesso e della propria dottrina. […] Carpi ha firmato uno dei suoi film maggiori» (Grazzini).
a seguire
Relazione dello psicanalista Anna Ferruta e incontro moderato da Fabio Castriota
Giornata a ingresso gratuito
domenica 27
ore 17.00
La mano dello straniero (1954)
Regia: Mario Soldati; soggetto: dal romanzo The Stranger’s Hand di Graham Greene; sceneggiatura: Giorgio Bassani, Guy Elmes, [non accreditato M. Soldati]; fotografia: Enzo Serafin; scenografia: Luigi Scaccianoce; costume: Rosi Gori; musica: Nino Rota, Alessandro Cicognini; montaggio: Tom Simpson, Leo Catozzo, Leslie Hogdson; interpreti: Alida Valli, Trevor Howard, Richard Basehart, Richard O’Sullivan, Eduardo Ciannelli, Giorgio Costantini; origine: Italia/Gran Bretagna; produzione: Rizzoli Film, Milo Film, Peter Moore, John Stafford; durata: 98’
Il piccolo Roger, giunge a Venezia per incontrare il padre, maggiore britannico in servizio a Trieste. Dopo l’incontro mancato, una serie di indagini rivela una torbida vicenda di sequestri di persona. «Dal romanzo di Graham Greene, sceneggiato da Guy Elmes e Giorgio Bassani, il film che Soldati ha detto di preferire, per quanto stroncato dalla critica e ignorato dal pubblico. Per la sua mistura di suspense e formalismo meriterebbe una rivalutazione» (Mereghetti).
Copia ristampata a cura della Cineteca Nazionale
ore 19.00
La fiamma che non si spegne (1949)
Regia: Vittorio Cottafavi; soggetto e sceneggiatura: Oreste Biancoli, Giuliano Conte dal romanzo Itala gens di Franco Navarra Viggiani; fotografia: Gabor Pogany; scenografia: Natale Steffenino, Angelo Zagame; costumi: Maria De Matteis; musica: Alessandro Cicognini; montaggio: Renzo Lucidi; interpreti: Gino Cervi, Maria Denis, Leonardo Cortese, Luigi Tosi, Carlo Campanini, Danielle Benson; origine: Italia; produzione: Orsa Film; durata: 104’
Luigi, il figlio di un carabiniere morto eroicamente durante la prima guerra mondiale, segue le orme paterne arruolandosi nell’arma. Si batte valorosamente in Africa, viene rimpatriato per malattia e, promosso brigadiere, viene mandato a comandare una stazione, nelle vicinanze del suo paese. Dopo l’8 settembre, Luigi resta al suo posto, cercando di tutelare gli interessi dei connazionali. Nella zona vengono uccisi due soldati tedeschi: dieci paesani sono presi come ostaggi. Luigi si presenta al comando tedesco: dichiaratosi responsabile dell’uccisione, affronta la fucilazione per salvare gli ostaggi. «Questo severo elogio delle virtù morali e del senso di sacrificio […] andava talmente controcorrente rispetto all’epoca […] che suscitò una polemica alla Mostra di Venezia nel 1949. […] L’esecuzione finale è la più bella sequenza dell’opera di Cottafavi. […] La liturgia cancella il tempo, cancella la Storia: ricolloca ogni azione tragica in una continuità di ordine religioso che è una sorta di eternità […]. È perché guarda prima di tutto all’eternità che il cinema di Cottafavi ignora – superbamente – il Neorealismo» (Jacques Lourcelles).
Versione restaurata a cura della Cineteca Nazionale in collaborazione con Cineteca del Friuli e Ripley’s Film
ore 21.00
La grande guerra (1959)
Regia: Mario Monicelli; soggetto e sceneggiatura: Age [Agenore Incrocci] & [Furio] Scarpelli, Luciano Vincenzoni, M. Monicelli; fotografia: Giuseppe Rotunno; scenografia: Mario Garbuglia; costumi: Danilo Donati; musica: Nino Rota; montaggio: Adriana Novelli; interpreti: Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Silvana Mangano, Folco Lulli, Bernard Blier, Romolo Valli; origine: Italia/Francia; produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica, Gray Films; durata: 135’
Versione restaurata a cura di Cineteca Nazionale e Aurelio De Laurentiis
Per questo restauro de La grande guerra, a partire dai materiali conservati dalla Cineteca Nazionale, con la supervisione di Giuseppe Rotunno, si è lavorato per ritrovare il tono fotografico voluto dal regista Mario Monicelli e dallo stesso Rotunno: un bianco e nero che ricordasse l'iconografia d'epoca, dai primi reportages di guerra alle foto ricordo dei soldati in partenza per il fronte. La versione proposta, presentata in anteprima alla 66° Mostra del Cinema di Venezia, è stata resa possibile recuperando raffinate tecniche artigianali di sviluppo e stampa. Il lavoro di restauro mira a restituire al film i particolari toni di luce che lo caratterizzavano. Il direttore della fotografia Rotunno si ispirò alle immagini di repertorio girate al fronte e alle fotografie dell'epoca e intervenne nei processi di sviluppo e stampa per recuperare in parte il forte contrasto e le grandi differenze di densità luminosa che esistevano nelle riprese in interni dal vero legate agli esterni, salvando il difetto di sovraesposizione delle zone esterne. “Con Monicelli decidemmo di fotografare anche gli attori principali senza quelle particolari attenzioni che si usano di solito, illuminandoli per farli spiccare” Un lavoro di sottrazione (di luce) per accentuare il realismo della messa in scena, al punto che nelle proiezioni dei giornalieri qualcuno si lamentò perché "non vedeva niente". Ma solo così si poteva realizzare l'intento di Monicelli di «fare il film con un tono, povero, vecchio, sporco», in cui risaltano, più che le luci, i sentimenti umani.
Giornata a ingresso gratuito
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