Combattere l’atrofia muscolare spinale con uno stratagemma molecolare: a proporlo è uno studio finanziato da Telethon e pubblicato sulla rivista scientifica EMBO Journal* da Claudio Sette, docente presso il dipartimento di Sanità pubblica e biologia cellulare dell’Università “Tor Vergata” di Roma, che dirige anche un gruppo di ricerca presso l’Irccs Fondazione Santa Lucia.
L’atrofia muscolare spinale (Sma) è una malattia degenerativa dei muscoli di origine genetica: con un’incidenza di 1 su 6000-10000 nati, rappresenta la prima causa genetica di morte nei bambini. È dovuta a un difetto nel gene SMN1, che determina l’assenza di una proteina fondamentale per la sopravvivenza dei motoneuroni, le cellule nervose che impartiscono ai muscoli il comando di movimento. Una proteina così importante che nel corso dell’evoluzione l’organismo umano si è dotato di altre copie di questo gene: nel nostro genoma ne esiste infatti un altro quasi identico, ribattezzato SMN2. A differenziarlo da SMN1 è, principalmente, un’unica lettera del suo codice genetico: questa minima variazione, però, fa sì che la proteina prodotta a partire da quel gene sia altamente instabile e non riesca a fare completamente le veci di quella mancante. Di conseguenza, con il passare del tempo i motoneuroni dei pazienti affetti da Sma muoiono progressivamente. La gravità e la velocità con cui la malattia progredisce dipendono dal numero di geni SMN2 presenti nel patrimonio genetico del paziente: nella forma più grave, quella di tipo 1, esiste un’unica copia di “gene supplente”, mentre nelle forme di tipo 2 e 3 ce ne sono di più. Il gruppo di ricerca di Claudio Sette sta provando a capire se si può curare la SMA rendendo più stabile il “gene supplente” già presente nell’organismo piuttosto che fornendo una copia corretta del gene mancante. Quello che rende la proteina SMN2 instabile è la mancanza di una porzione dell’informazione che risiede nel gene, che viene rimossa durante una tappa fondamentale della sua produzione, chiamata splicing. E questo proprio a causa di quell’unica “lettera” diversa, che manda alla cellula il segnale di produrre una proteina più corta.Studiando i dettagli molecolari dello splicing del gene SMN2, il gruppo di Claudio Sette ha individuato una nuova proteina coinvolta in questo complesso fenomeno cellulare, chiamata Sam68. Successivamente, i ricercatori hanno fornito a cellule di pazienti affetti da Sma, tramite un vettore virale, una proteina antagonista di Sam68, in grado di sequestrarla e di impedirle di avviare lo splicing. Così trasformate, le cellule hanno prodotto quantità sufficienti di proteina SMN2 in versione completa e stabile. Forti di questi risultati ottenuti sulle cellule dei pazienti, i ricercatori proveranno a verificare l’efficacia di questa strategia nel modello animale della malattia, e a renderla adatta a un’applicazione sull’uomo.
Il lavoro di Claudio Sette è sostenuto anche dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (Aams).
mercoledì, marzo 17, 2010
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