Per implantologia (dentale) si intende quell'insieme di tecniche chirurgiche atte a riabilitare funzionalmente un paziente affetto da edentulismo totale o parziale mediante l'utilizzo di impianti dentali
ovverosia dispositivi, metallici e non, inseriti chirurgicamente
nell'osso mandibolare o mascellare, o sopra di esso ma sotto la gengiva, atti a loro volta a permettere la connessione di protesi, fisse o mobili, per la restituzione della funzione masticatoria.
Tali impianti possono essere di diverse forme, inseriti in diverse sedi
con tecniche differenti e poi connessi alle protesi con diverse
tempistiche.
Attualmente gli impianti sono quasi tutti realizzati in titanio. I più utilizzati sono quelli a vite di tipo endosseo, nella maggioranza dei casi lasciati sommersi sotto gengiva
per un periodo congruo in base alla sede. L'implantologia dentale si
suddivide quindi in endossea e iuxtaossea, quest'ultima utilizzante solo
impianti a griglia con moncone fisso non sommerso e quindi per sede e
modalità di carico non osteointegrabili se realizzati in
cromo-cobalto-molibdeno, o anche osteointegrabili se realizzati in
titanio ed inseriti con apposite tecniche chirurgiche favorenti la
neoformazione ossea al disopra della loro struttura.
L'implantologia endossea è al momento la più diffusa, ed utilizza
impianti (corpo implantare propriamente detto) di forma
cilindrica/conica più o meno filettati all'esterno e con connessione
interna a varia conformazione per la parte emergente (moncone) e più
raramente cilindri o coni privi di filettatura esterna ma con analoghi
sistemi di connessione interna per il moncone, viti piene di un solo
corpo (corpo implantare e moncone realizzati dal pieno e quindi senza
alcuna connessione) lame ed aghi. In base al protocollo chirurgico
avremo quindi implantologia sommersa e non (transmucosa); in base alla
tempistica di utilizzo (funzionalizzazione) avremo carico immediato,
anticipato, differito.
L'implantologia endossea si divide fondamentalmente in due grandi
scuole: quella italiana e quella svedese. L'implantologia di scuola
italiana è storicamente precedente, meno diffusa ma concettualmente
ancora oggi è altrettanto importante quanto la seconda. Alla scuola
italiana si deve l'introduzione del primo impianto specificamente
progettato per il carico immediato, l'introduzione del titanio nella
produzione degli impianti, l'introduzione dell'area di rispetto
biologico sui corpi implantari, il primo protocollo all on six (benché
non battezzato in qualche modo) e gli impianti inclinati (Stefano M. Tramonte); la saldatrice endorale (PL. Mondani).
Alla scuola svedese si deve la metodica di "osteointegrazione", sviluppata per primo da Per-Ingvar Branemark,
basata sul carico differito e tesa a rendere più controllabile il
successo dell'intervento implantologico: prevede l'utilizzo di impianti
endossei a vite ed a connessione protesica, con carico differito, ovvero
attesa 3-4 mesi in mandibola e 5-6 in mascella.
Il protocollo originale di Branemark è stato variamente modificato così
come gli impianti utilizzati, per accorciare i tempi di quiescenza
degli impianti ed in definitiva dei tempi generali del trattamento. La
scuola svedese ha prodotto importantissime innovazioni sia nella
tecnologia di produzione e sia nelle tecniche chirurgiche: adozione dei
trattamenti di superficie per i corpi implantari, tecniche di
rigenerazione tissutale sia ossea sia mucosa, tecniche di augment sia in
senso verticale e sia in senso orizzontale ed in generale tutte quelle
tecniche chirurgiche atte a rendere più adeguato il sito implantare
all'inserzioni di questi impianti, per loro natura assai meno adattabili
alle condizioni anatomiche degli impianti di scuola italiana. Alcune
Associazioni scientifiche, come l'ARASS, riconoscono i meriti sia della
scuola italiana che di quella svedese.
Il materiale più utilizzato per la produzione di impianti è il titanio,
in forma commercialmente pura o nelle sue leghe ad uso dentale,
materiale biocompatibile che non comporta reazioni da parte
dell'organismo (popolarmente ma erroneamente note come rigetto). Gli impianti, posizionati nell'osso del paziente, verranno fortemente inglobati in esso dai fisiologici meccanismi della rigenerazione ossea, ossia avverrà la osteointegrazione
sia in caso di carico differito (scuola svedese) e sia in caso di
carico immediato (scuola italiana). Si deve a G. Lorenzon, uno degli
esponenti della scuola italiana di implantologia, la definizione di
“implantologia funzionale”[1],
relativamente all'implantologia transmucosa monofasica a carico
immediato. Con il termine “funzionale” s'intende infatti una tecnica
implantologica che consenta un recupero immediato e senza limitazione
della funzione masticatoria, non tanto con l'obiettivo di imitazione
perfetta dell'organo, ma con quello di ricrearne al meglio la funzione.
Tale tecnica, in realtà, non differisce per nulla dalle tecniche
classiche della scuola italiana se non per il fatto che la barra
elettrosaldata utilizzata per meglio garantire la dissipazione e la
ripartizione dei carichi masticatori durante il periodo di guarigione,
dato che tale metodica utilizza impianti a carico immediato obbligato,
non viene rimossa ma lasciata in sito a vita. La cosa, invero, è
piuttosto discutibile, soprattutto perché il fenomeno di oscuramento
clinico che produce la barra impedisce di fare diagnosi di avvenuta
osteointegrazione prima di passare a confezionare e montare la protesi
definitiva.
L'oro-platino-ceramica, tecnica diffusa in passato, prevedeva un
perno in oro galvanico titolato in oro almeno al 98% (oro puro 24
carati) con un residuo di platino e/o palladio senza il quale l'oro
resterebbe troppo malleabile e inadatto come materiale protesico, sul
quale si applica una corona in ceramica di tipo core (ceramica pressofusa), che eventualmente si poteva sostituire in caso di successiva rottura.
Nessun commento:
Posta un commento