mercoledì, agosto 30, 2017

DENTISTA VARESE

Per implantologia (dentale) si intende quell'insieme di tecniche chirurgiche atte a riabilitare funzionalmente un paziente affetto da edentulismo totale o parziale mediante l'utilizzo di impianti dentali ovverosia dispositivi, metallici e non, inseriti chirurgicamente nell'osso mandibolare o mascellare, o sopra di esso ma sotto la gengiva, atti a loro volta a permettere la connessione di protesi, fisse o mobili, per la restituzione della funzione masticatoria. Tali impianti possono essere di diverse forme, inseriti in diverse sedi con tecniche differenti e poi connessi alle protesi con diverse tempistiche.
Attualmente gli impianti sono quasi tutti realizzati in titanio. I più utilizzati sono quelli a vite di tipo endosseo, nella maggioranza dei casi lasciati sommersi sotto gengiva per un periodo congruo in base alla sede. L'implantologia dentale si suddivide quindi in endossea e iuxtaossea, quest'ultima utilizzante solo impianti a griglia con moncone fisso non sommerso e quindi per sede e modalità di carico non osteointegrabili se realizzati in cromo-cobalto-molibdeno, o anche osteointegrabili se realizzati in titanio ed inseriti con apposite tecniche chirurgiche favorenti la neoformazione ossea al disopra della loro struttura.
L'implantologia endossea è al momento la più diffusa, ed utilizza impianti (corpo implantare propriamente detto) di forma cilindrica/conica più o meno filettati all'esterno e con connessione interna a varia conformazione per la parte emergente (moncone) e più raramente cilindri o coni privi di filettatura esterna ma con analoghi sistemi di connessione interna per il moncone, viti piene di un solo corpo (corpo implantare e moncone realizzati dal pieno e quindi senza alcuna connessione) lame ed aghi. In base al protocollo chirurgico avremo quindi implantologia sommersa e non (transmucosa); in base alla tempistica di utilizzo (funzionalizzazione) avremo carico immediato, anticipato, differito.
L'implantologia endossea si divide fondamentalmente in due grandi scuole: quella italiana e quella svedese. L'implantologia di scuola italiana è storicamente precedente, meno diffusa ma concettualmente ancora oggi è altrettanto importante quanto la seconda. Alla scuola italiana si deve l'introduzione del primo impianto specificamente progettato per il carico immediato, l'introduzione del titanio nella produzione degli impianti, l'introduzione dell'area di rispetto biologico sui corpi implantari, il primo protocollo all on six (benché non battezzato in qualche modo) e gli impianti inclinati (Stefano M. Tramonte); la saldatrice endorale (PL. Mondani).
Alla scuola svedese si deve la metodica di "osteointegrazione", sviluppata per primo da Per-Ingvar Branemark, basata sul carico differito e tesa a rendere più controllabile il successo dell'intervento implantologico: prevede l'utilizzo di impianti endossei a vite ed a connessione protesica, con carico differito, ovvero attesa 3-4 mesi in mandibola e 5-6 in mascella. Il protocollo originale di Branemark è stato variamente modificato così come gli impianti utilizzati, per accorciare i tempi di quiescenza degli impianti ed in definitiva dei tempi generali del trattamento. La scuola svedese ha prodotto importantissime innovazioni sia nella tecnologia di produzione e sia nelle tecniche chirurgiche: adozione dei trattamenti di superficie per i corpi implantari, tecniche di rigenerazione tissutale sia ossea sia mucosa, tecniche di augment sia in senso verticale e sia in senso orizzontale ed in generale tutte quelle tecniche chirurgiche atte a rendere più adeguato il sito implantare all'inserzioni di questi impianti, per loro natura assai meno adattabili alle condizioni anatomiche degli impianti di scuola italiana. Alcune Associazioni scientifiche, come l'ARASS, riconoscono i meriti sia della scuola italiana che di quella svedese.
Il materiale più utilizzato per la produzione di impianti è il titanio, in forma commercialmente pura o nelle sue leghe ad uso dentale, materiale biocompatibile che non comporta reazioni da parte dell'organismo (popolarmente ma erroneamente note come rigetto). Gli impianti, posizionati nell'osso del paziente, verranno fortemente inglobati in esso dai fisiologici meccanismi della rigenerazione ossea, ossia avverrà la osteointegrazione sia in caso di carico differito (scuola svedese) e sia in caso di carico immediato (scuola italiana). Si deve a G. Lorenzon, uno degli esponenti della scuola italiana di implantologia, la definizione di “implantologia funzionale”[1], relativamente all'implantologia transmucosa monofasica a carico immediato. Con il termine “funzionale” s'intende infatti una tecnica implantologica che consenta un recupero immediato e senza limitazione della funzione masticatoria, non tanto con l'obiettivo di imitazione perfetta dell'organo, ma con quello di ricrearne al meglio la funzione. Tale tecnica, in realtà, non differisce per nulla dalle tecniche classiche della scuola italiana se non per il fatto che la barra elettrosaldata utilizzata per meglio garantire la dissipazione e la ripartizione dei carichi masticatori durante il periodo di guarigione, dato che tale metodica utilizza impianti a carico immediato obbligato, non viene rimossa ma lasciata in sito a vita. La cosa, invero, è piuttosto discutibile, soprattutto perché il fenomeno di oscuramento clinico che produce la barra impedisce di fare diagnosi di avvenuta osteointegrazione prima di passare a confezionare e montare la protesi definitiva.
L'oro-platino-ceramica, tecnica diffusa in passato, prevedeva un perno in oro galvanico titolato in oro almeno al 98% (oro puro 24 carati) con un residuo di platino e/o palladio senza il quale l'oro resterebbe troppo malleabile e inadatto come materiale protesico, sul quale si applica una corona in ceramica di tipo core (ceramica pressofusa), che eventualmente si poteva sostituire in caso di successiva rottura.

 

 

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