Lo diceva anche Don Vito Corleone, il sanguinario Padrino dell’omonimo romanzo di Mario Puzo: “La famiglia, non si tocca!”.
La famiglia… agenzia sociale; la famiglia… luogo fondamentale della crescita, del benessere, dell’educazione alle regole socialmente condivise e della formazione alla capacità di determinare la propria vita e il mondo, ma anche la famiglia… spazio della repressione, del disagio, della violenza, del predominio del forte (fisicamente, economicamente, psicologicamente…) sul debole. La famiglia… che quando non adempie al suo mandato di liberare e rendere autonomi i suoi affiliati (e -ahìnoi- accade assai spesso), contribuisce tanto potentemente all’affollamento delle carceri, degli istituti psichiatrici, degli studi dei professionisti dell’aiuto alla persona o, bene che vada, direbbe David Cooper con quel tot di sprezzante ironia, ci fa diventare dei “cittadini normali”, assoggettati e proni al potere dominante. La famiglia… semprefelice della pubblicità, ma anche la famiglia maledettamente in crisi: minata da separazioni, abusi, omicidi, repressioni che, un tempo negati, tollerati, giustificati, segretati, vengono oggi sempre più in superficie mostrando il lato oscuro di una luna che, scopriamo, ancora da esplorare. La famiglia… obesa (socialmente, quando non fisicamente) del “non ci facciamo mancare niente”, ma anche la famiglia degli infanticidi, degli uxoricidi, degli stupri, dei genitori assenti, anaffettivi, indifferenti, degli anziani abbandonati… La famiglia, questa famiglia, non si tocca!
…Lo ripetono credenti, associazioni e movimenti cattolici; li fomenta lo stesso vicario di Dio insieme alla sua corte presi, appare, dal terrore folle che altre composizioni di individui riunibili sotto lo stesso tetto possano presentarsi come concrete alternative: famiglie omosessuali, bisessuali, conviventi, comuni… e tutte le tipologie di progetti di esistenza condivisa che può ancora partorire la fantasia umana…
Anche queste famiglie, secondo la Chiesa, non si possono toccare ma, in un altro senso. Come i Dalit, i fuoricasta indù, queste famiglie sono intoccabili perché precostitutivamente inammissibili e, quindi, rifiutate, discriminate… anzì, meglio ancora, non è nemmeno lecito chiamarle famiglie.
La famiglia, l’unica che, secondo i dettami della Chiesa, Dio tutela e definisce tale, è la famiglia del padre, della madre (purché sposati) e il bambinetto -per quanto nella stessa famiglia di Dio, in questo senso, di confusione ce n’è che avanza.
Questa famiglia, minimo triadica (che solo in virtù di qualche patologia può restare diadica) e consacrata nel matrimonio (preferibilmente con rito cattolico, ma a ‘sto punto va bene anche civile), è talmente famiglia da meritarsi l’appellativo di naturale -come, d’altra parte esige la retorica del marketing nel grande supermercato della contemporaneità; tant’è che anche la frutta naturale o biologica è, in qualche modo, più frutta della frutta.
La famiglia almeno triadica, riunita nel matrimonio e finché morte non la separi, è, dunque, una famiglia naturale, come un albero, un fiume, una roccia… è stata creata da Dio ed esiste da sempre, preesiste persino al cristianesimo, persino alla stessa idea di famiglia… più naturale di così!
Eppure non c’è nulla di meno naturale della famiglia.
Naturale è il maschio o la femmina animale che si aggirano per fecondare o farsi fecondare, affinché la loro genia sia il più nutrita possibile e capace di reggere al tempo e nel tempo; naturale è l’istinto di prolungare la propria stirpe contribuendo così a procrastinare la fine della propria specie -persino con l’incesto, come bene sa chi ha vissuto a stretto contatto col mondo animale e ha visto il maschio adulto giacere con la figlia o la femmina col figlio, contribuendo al concepimento di nuove generazioni. Ma nell’umano, no! Nell’umano, per quanto sopravviva l’istinto di procreazione e sopravvivenza, non c’è nulla di naturale. Tant’è che in tutte le culture la proibizione all’incesto è norma severa -per quanto la Bibbia narri di Lot che, rifugiatosi ad abitare con le figlie in una spelonca sulla montagna, fu da queste sedotto per soddisfare il loro istinto materno e dal loro ventre nacquero i capostipiti dei popoli Moabiti e Ammoniti.
Ma proprio il caso limite di Lot e le sue figlie si presta a confermare la regola che -appunto- solo alle strette della necessità estrema può essere infranta. La norma è, infatti, la proibizione all’incesto. Ed è norma prettamente umana, affermazione strettamente e univocamente culturale che trova nella capacità di prodursi quale simbolo quella dimensione oppositiva alla natura sulla cui base nasce la famiglia e l’uomo si distingue dall’animale; anzi, si distanzia talmente dall’animale da dimenticarsi, in fondo, di esserlo.
D’altronde il superamento della fase edipica, che permette l’accesso alla socialità umana, sta tutto nell’affermazione di un ordine simbolico in grado di minare e travalicare il rapporto duale alienante sviluppato con il genitore del sesso opposto. È il simbolo che subentra quale quarto incomodo determinante alla costruzione della famiglia e si configura come elemento indispensabile per far sì che il soggetto si riconosca e riconosca l’Altro. Per il bambino, desideroso di sedurre la madre, superare l’Edipo significa accettare la realtà con le sue regole, i suoi tabù, le sue proibizioni; significa accettare la Legge del Padre (il Super-Io) e rimandare il suo desiderio in un tempo e un corpo a venire. È solo attraverso il simbolo che l’«Io» si riconosce, riconosce il «Tu» e si fa «Noi», ossia la famiglia e, per estensione, la comunità, il paese, la nazione, l’Altro.
Ora, poiché la condizione di ogni essere vivente è quella di essere, anzitutto e prima di tutto, un figlio, ossia figliato da qualcuno, è chiaro che questo qualcuno è per noi costituivo, ma questo non significa che sia sufficiente affinché figlio e figlianti si concepiscano come famiglia.
Naturale è il fatto di essere figli poiché, senza essere figli, non si può essere; in secondo luogo, è altrettanto naturale che per essere figli è necessario essere figliati; ma per riconoscersi come figli e farsi riconoscere come figlianti, per passare cioè allo stato di famiglia, è indispensabile che la cultura subentri alla natura… Ma come e in quale forme avvenga questo avvicendamento, non è riducibile a nessun modello universale.
Ogni tipologia di famiglia che la civiltà umana ha sinora sperimentato è, invece, il frutto di una scelta culturale ascrivibile ad una concezione del mondo direttamente discendente dai vari e pur circoscritti modi in cui il pensiero umano ha potuto e può posarsi su quanto gli è dato di osservare: il corpo maschile e il corpo femminile, con le loro funzioni, le loro similitudini e le loro differenze, e l’ambiente in cui questi interagiscono sospinti dall’istinto di sopravvivenza loro e della loro stirpe.
Tra i Samo del Burkina Faso, ad esempio, la donna viene data in matrimonio fin dalla sua nascita ad un uomo appartenente a un gruppo consono al suo; giunta all’età puberale e prima di convolare dal marito la donna, insieme alla madre, sceglie un amante all’interno di un gruppo diverso da quello del marito promesso e con questi trascorre un periodo di almeno tre anni, o fino a quando non rimane incinta, allorché si trasferisce dal marito legittimo che diviene il solo e vero padre del nascituro… Nelle unioni di tipo poliandrico in uso in Tibet, la donna sposata ad un fratello maggiore sposa anche, a intervalli di un anno, tutti gli altri fratelli, anche se non vi è mai più di un marito in casa… Tra i Kaingang del Brasile è invece in uso la poliginandria, dove un maschio si accoppia con più femmine e le femmine si accoppiano con più maschi in una sorta di matrimonio di gruppo… Insomma, le costruzioni sociali possibili che, nel corso della umana civiltà, hanno dato e danno corpo ai modelli famigliari sono davvero molteplici e, come bene spiega l’antropologa Françoise Hèrtier, “[…] se una qualsiasi di queste istituzioni fosse biologicamente fondata, dunque naturale e necessaria, si presenterebbe universalmente nella stessa forma. Ma non è così, per nessuna di esse […]”.
Le forme sono variabili e culturalmente costituite nei luoghi e nei tempi. L’idea che esista una famiglia naturale che, abusando di questo aggettivo, si impone alle altre quale più adeguata, giusta, funzionale e, soprattutto, detentrice di diritti, è un’idea aberrante e assolutamente antidemocratica; frutto, evidentemente, dello spirito razzista e fondamentalista che, nonostante tutti i proclami di civiltà, feconda l’anima dell’occidente.
La famiglia… agenzia sociale; la famiglia… luogo fondamentale della crescita, del benessere, dell’educazione alle regole socialmente condivise e della formazione alla capacità di determinare la propria vita e il mondo, ma anche la famiglia… spazio della repressione, del disagio, della violenza, del predominio del forte (fisicamente, economicamente, psicologicamente…) sul debole. La famiglia… che quando non adempie al suo mandato di liberare e rendere autonomi i suoi affiliati (e -ahìnoi- accade assai spesso), contribuisce tanto potentemente all’affollamento delle carceri, degli istituti psichiatrici, degli studi dei professionisti dell’aiuto alla persona o, bene che vada, direbbe David Cooper con quel tot di sprezzante ironia, ci fa diventare dei “cittadini normali”, assoggettati e proni al potere dominante. La famiglia… semprefelice della pubblicità, ma anche la famiglia maledettamente in crisi: minata da separazioni, abusi, omicidi, repressioni che, un tempo negati, tollerati, giustificati, segretati, vengono oggi sempre più in superficie mostrando il lato oscuro di una luna che, scopriamo, ancora da esplorare. La famiglia… obesa (socialmente, quando non fisicamente) del “non ci facciamo mancare niente”, ma anche la famiglia degli infanticidi, degli uxoricidi, degli stupri, dei genitori assenti, anaffettivi, indifferenti, degli anziani abbandonati… La famiglia, questa famiglia, non si tocca!
…Lo ripetono credenti, associazioni e movimenti cattolici; li fomenta lo stesso vicario di Dio insieme alla sua corte presi, appare, dal terrore folle che altre composizioni di individui riunibili sotto lo stesso tetto possano presentarsi come concrete alternative: famiglie omosessuali, bisessuali, conviventi, comuni… e tutte le tipologie di progetti di esistenza condivisa che può ancora partorire la fantasia umana…
Anche queste famiglie, secondo la Chiesa, non si possono toccare ma, in un altro senso. Come i Dalit, i fuoricasta indù, queste famiglie sono intoccabili perché precostitutivamente inammissibili e, quindi, rifiutate, discriminate… anzì, meglio ancora, non è nemmeno lecito chiamarle famiglie.
La famiglia, l’unica che, secondo i dettami della Chiesa, Dio tutela e definisce tale, è la famiglia del padre, della madre (purché sposati) e il bambinetto -per quanto nella stessa famiglia di Dio, in questo senso, di confusione ce n’è che avanza.
Questa famiglia, minimo triadica (che solo in virtù di qualche patologia può restare diadica) e consacrata nel matrimonio (preferibilmente con rito cattolico, ma a ‘sto punto va bene anche civile), è talmente famiglia da meritarsi l’appellativo di naturale -come, d’altra parte esige la retorica del marketing nel grande supermercato della contemporaneità; tant’è che anche la frutta naturale o biologica è, in qualche modo, più frutta della frutta.
La famiglia almeno triadica, riunita nel matrimonio e finché morte non la separi, è, dunque, una famiglia naturale, come un albero, un fiume, una roccia… è stata creata da Dio ed esiste da sempre, preesiste persino al cristianesimo, persino alla stessa idea di famiglia… più naturale di così!
Eppure non c’è nulla di meno naturale della famiglia.
Naturale è il maschio o la femmina animale che si aggirano per fecondare o farsi fecondare, affinché la loro genia sia il più nutrita possibile e capace di reggere al tempo e nel tempo; naturale è l’istinto di prolungare la propria stirpe contribuendo così a procrastinare la fine della propria specie -persino con l’incesto, come bene sa chi ha vissuto a stretto contatto col mondo animale e ha visto il maschio adulto giacere con la figlia o la femmina col figlio, contribuendo al concepimento di nuove generazioni. Ma nell’umano, no! Nell’umano, per quanto sopravviva l’istinto di procreazione e sopravvivenza, non c’è nulla di naturale. Tant’è che in tutte le culture la proibizione all’incesto è norma severa -per quanto la Bibbia narri di Lot che, rifugiatosi ad abitare con le figlie in una spelonca sulla montagna, fu da queste sedotto per soddisfare il loro istinto materno e dal loro ventre nacquero i capostipiti dei popoli Moabiti e Ammoniti.
Ma proprio il caso limite di Lot e le sue figlie si presta a confermare la regola che -appunto- solo alle strette della necessità estrema può essere infranta. La norma è, infatti, la proibizione all’incesto. Ed è norma prettamente umana, affermazione strettamente e univocamente culturale che trova nella capacità di prodursi quale simbolo quella dimensione oppositiva alla natura sulla cui base nasce la famiglia e l’uomo si distingue dall’animale; anzi, si distanzia talmente dall’animale da dimenticarsi, in fondo, di esserlo.
D’altronde il superamento della fase edipica, che permette l’accesso alla socialità umana, sta tutto nell’affermazione di un ordine simbolico in grado di minare e travalicare il rapporto duale alienante sviluppato con il genitore del sesso opposto. È il simbolo che subentra quale quarto incomodo determinante alla costruzione della famiglia e si configura come elemento indispensabile per far sì che il soggetto si riconosca e riconosca l’Altro. Per il bambino, desideroso di sedurre la madre, superare l’Edipo significa accettare la realtà con le sue regole, i suoi tabù, le sue proibizioni; significa accettare la Legge del Padre (il Super-Io) e rimandare il suo desiderio in un tempo e un corpo a venire. È solo attraverso il simbolo che l’«Io» si riconosce, riconosce il «Tu» e si fa «Noi», ossia la famiglia e, per estensione, la comunità, il paese, la nazione, l’Altro.
Ora, poiché la condizione di ogni essere vivente è quella di essere, anzitutto e prima di tutto, un figlio, ossia figliato da qualcuno, è chiaro che questo qualcuno è per noi costituivo, ma questo non significa che sia sufficiente affinché figlio e figlianti si concepiscano come famiglia.
Naturale è il fatto di essere figli poiché, senza essere figli, non si può essere; in secondo luogo, è altrettanto naturale che per essere figli è necessario essere figliati; ma per riconoscersi come figli e farsi riconoscere come figlianti, per passare cioè allo stato di famiglia, è indispensabile che la cultura subentri alla natura… Ma come e in quale forme avvenga questo avvicendamento, non è riducibile a nessun modello universale.
Ogni tipologia di famiglia che la civiltà umana ha sinora sperimentato è, invece, il frutto di una scelta culturale ascrivibile ad una concezione del mondo direttamente discendente dai vari e pur circoscritti modi in cui il pensiero umano ha potuto e può posarsi su quanto gli è dato di osservare: il corpo maschile e il corpo femminile, con le loro funzioni, le loro similitudini e le loro differenze, e l’ambiente in cui questi interagiscono sospinti dall’istinto di sopravvivenza loro e della loro stirpe.
Tra i Samo del Burkina Faso, ad esempio, la donna viene data in matrimonio fin dalla sua nascita ad un uomo appartenente a un gruppo consono al suo; giunta all’età puberale e prima di convolare dal marito la donna, insieme alla madre, sceglie un amante all’interno di un gruppo diverso da quello del marito promesso e con questi trascorre un periodo di almeno tre anni, o fino a quando non rimane incinta, allorché si trasferisce dal marito legittimo che diviene il solo e vero padre del nascituro… Nelle unioni di tipo poliandrico in uso in Tibet, la donna sposata ad un fratello maggiore sposa anche, a intervalli di un anno, tutti gli altri fratelli, anche se non vi è mai più di un marito in casa… Tra i Kaingang del Brasile è invece in uso la poliginandria, dove un maschio si accoppia con più femmine e le femmine si accoppiano con più maschi in una sorta di matrimonio di gruppo… Insomma, le costruzioni sociali possibili che, nel corso della umana civiltà, hanno dato e danno corpo ai modelli famigliari sono davvero molteplici e, come bene spiega l’antropologa Françoise Hèrtier, “[…] se una qualsiasi di queste istituzioni fosse biologicamente fondata, dunque naturale e necessaria, si presenterebbe universalmente nella stessa forma. Ma non è così, per nessuna di esse […]”.
Le forme sono variabili e culturalmente costituite nei luoghi e nei tempi. L’idea che esista una famiglia naturale che, abusando di questo aggettivo, si impone alle altre quale più adeguata, giusta, funzionale e, soprattutto, detentrice di diritti, è un’idea aberrante e assolutamente antidemocratica; frutto, evidentemente, dello spirito razzista e fondamentalista che, nonostante tutti i proclami di civiltà, feconda l’anima dell’occidente.
Massimo Silvano Galli (www.msgdixit.it)
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