giovedì, luglio 15, 2010

Pescecane e pesciolino - Quando superare gli stereotipi diventa occasione di crescita personale e collettiva

Di Annamaria Calore ed Elena Improta

Pescecane e Pesciolino” è il titolo di una storia, scritta da un ragazzo di undici anni per narrare come, due cuccioli del mare con lo sguardo libero da pregiudizi e con l’innocente fiducia sia nelle personali capacità che nella loro amicizia, riescono a raggiungere un obiettivo impossibile: il dialogo tra le popolazioni di pesci diversi e nemici da sempre.

Non ha importanza il perché questi due popoli siano diventati nemici. Come pure non hanno importanza le ragioni che li spingono a farsi del male. Il bambino Gilad, autore della storia, non mette l’accento su queste motivazioni. Mette l’accento sugli stereotipi di “nemico” che i cuccioli di pesce ricevono dalle loro famiglie di origine e che rischiano di immobilizzare la loro curiosità, la loro fiducia, e la loro voglia di migliorarsi e migliorare il loro ambiente e le loro relazioni.

È questa la storia che ci ha convinto ad incontrare una sessantina di ragazzi della Scuola Media Esopo di Roma che quel libro avevano letto. Quei ragazzi di undici-dodici anni, l’età di Gilad quando ha scritto il suo racconto, volevano scrivere ai capi di governo di due popoli tanto vicini quanto nemici, due popoli antichi che si affacciano sul mediterraneo, perché trovassero un’intesa per far tornare Gilad a casa. Liberare Gilad, quindi, ormai giovane uomo prigioniero di guerra. Perché una guerra lunga, dove tutti si fanno e fanno del male non può avere senso per dei ragazzi, come non può avere senso che di un prigioniero non si debbano avere notizie e che gli spazi di mediazione per liberarlo non si possano trovare.

Gilad Shalit è il nome di quel bambino ormai uomo. E di lui non si sa più nulla, neppure dove venga tenuto prigioniero. È lui l’autore del libro “Pescecane e Pesciolino” ed i due capi di governo ai quali i ragazzi volevano scrivere, sono il Capo di Governo Israeliano ed il Capo di Governo Palestinese.

Il sogno dei ragazzi era bello e coraggioso, ma quanto percorribile?

Abbiamo letto la storia tutta d’un fiato, come dovevano aver fatto i ragazzi. Una storia tanto breve quanto commovente. Abbiamo voluto osare con loro, coinvolgendo insegnati, preside, editori del libro, la comunità ebraica di Roma, la Provincia.

Lo scopo era quello di far percepire ai giovani la prossimità delle Istituzioni, volevamo riflettessero sul come, da soli, poco si può. Mentre è possibile fare molto, ricercando l’intesa con altri, condividendo un progetto. Anche soltanto per un obiettivo temporaneo che, se condiviso e partecipato, può creare i presupposti per ricercare altri obiettivi da perseguire insieme; un primo comune successo per sapere che è possibile avere successo.

Gli studenti dell’Esopo, non solo hanno scritto le lettere ai governi Israeliano e Palestinese, ma hanno anche rivisitato la storia dei due cuccioli del mare, interpretandola a modo loro sotto il segno della speranza e della pace tra i popoli.

È stata una esperienza significativa anche per noi e per le persone presenti alla lettura delle lettere e dei racconti, nella sala della Pace presso il palazzo della Provincia di Roma. E quando il padre di Gilad è venuto a Roma ed ha avuto tra le mani l’elaborato dei giovani, ha compreso quanta energia e quanta potenzialità possa esistere in ogni ragazzino di oggi; uomo e donna del domani. Ed ha compreso quanto, suo figlio ancora prigioniero, non sia solo.

Siamo cresciute anche noi in questa esperienza, perché ci abbiamo creduto fortemente. Cresciute nell’autostima, nella voglia di continuare a ricercare sentieri che vadano verso la “responsabilità sociale” di ogni cittadino; giovane o maturo che sia. E soprattutto siamo cresciute nel convincimento che la speranza, legata al pensiero generativo, si nutra di continue, piccole, quotidiane “rimesse in gioco”.

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