L'incertezza e la vaghezza accompagnano ogni riflessione sul mezzo, specie sul cosiddetto servizio pubblico RAI
Una televisione senza. Una televisione senza motivazioni. Una televisione senza programmi. Una televisione senza progetti. Una televisione senza testa. Una televisione senza gambe. Una televisione senza conoscenze. Una televisione senza senso… Se Alberto Arbasino si occupasse di televisione saprebbe meglio di chiunque altro descriverci l'incertezza e la vaghezza che accompagnano ogni riflessione sul mezzo, specie sul cosiddetto servizio pubblico.
Da oggi, una televisione senza Giro d'Italia, bellissimo e incerto fino alla fine. Fino a Milano, abbiamo sperato che Vincenzo Nibali indossasse la maglia rosa, ma onore all'olandese Tom Dumoulin. Un Giro senza pioggia, un Giro con una sola vittoria italiana (quella di Nibali a Bormio), un Giro senza Michele Scarponi. Una televisione senza campionato di calcio, finito domenica con la grande impresa del Crotone a scapito dell'Empoli. Un Crotone guidato da mister Davide Nicola, l'allenatore che tre anni fa perse il figlio di 14 anni per un incidente in bicicletta e che ora, per celebrare l'impresa dei suoi ragazzi, si appresta al viaggio proprio in bicicletta dalla Calabria alla sua Torino.
Una televisione senza il «Processo alla tappa» di Alessandra De Stefano, il superamento del concetto di «quota rosa» (che pure al Giro avrebbe anche un senso). Una televisione senza «Viaggio nell'Italia del Giro» di Edoardo Camurri, una corsa dentro l'anima di un Paese senza. Una televisione senza Francesco Totti. O forse no. Forse imboccherà la strada dei commentatori e sarà più che mai presente sullo schermo. Una televisione con le vagonate di retorica spiccia di Fabio Caressa sull'addio di Totti. Una televisione senza «Edicola Fiore», l'omaggio più spiritoso e disincantato alla carta stampata. Ma anche la rassegna stampa più vitale e intelligente. Una televisione senza Antonio Campo Dall'Orto, ultima rappresentazione dell'orfanità e della vedovanza…
Fonte Corriere
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